Il pensiero

L’origine del pensiero fotografico


“Importante è ciò che senti, quello che percepisci attraverso le tue emozioni: la forma, l’origine della forma, la sembianza, l’apparenza esteriore.
Così ora puoi vedere cose che prima erano invisibili, perchè il tuo spirito era fermo nello spazio immobile della realtà. Ora puoi uscire, aprire le porte al regno della magia e della fantasia”
Sono alcuni anni che cerco di interpretare il rapporto tra la mia percezione emotiva e il mondo che mi circonda, attraverso immagini realizzate con una fotocamera digitale.

Ho riflettuto a lungo non solo per quanto riguarda il mio modo di vedere le cose, interpretarle e tradurle, ma soprattutto sui principi essenziali che compongono l’immagine, come se fosse possibile trasportare un’emozione,  coglierla, rivelarla, sentirla e ricrearla.
Oggi il mio pensiero fotografico ha una sua concezione tecnica e spirituale basata sul rapporto tra me, la fotocamera, gli obiettivi e i filtri, la luce e i colori, il mondo che mi circonda, il mio bisogno di entrare nelle cose, leggerle e scoprirle per cogliere come un fiore prezioso l’immagine che riesco ad ottenere.
La Fotografia KEM è dunque uno stile karmico che prevede un particolare rapporto d’amore tra uomo e macchina, un particolare rapporto d’amore tra uomo e il mondo intorno all’uomo, un particolare rapporto d’amore con l’immagine e i suoi componenti.
Per quanto questo tipo di pensiero fotografico sia abbastanza in contrasto con la tradizionale tecnica, non è possibile ignorare le basi tecniche anzi: proprio dalla perfetta padronanza del mezzo di ripresa è possibile secondo me liberarsi dall’oppressione delle numerose componenti in fase di ripresa. Al tempo stesso oggi un buon apparecchio fotografico, possibilmente di tipo reflex o mirrorless per ovvie ragioni qualitative, ha sufficienti automatismi per provvedere da sè, nella maggior parte dei casi, a scolpire l’immagine in maniera ottimale. Per questo sostengo che poter lavorare in condizioni full-auto sia in fondo una grande opportunità che la attuale tecnologia ci dà, per liberarci dal pensiero tecnico e aprirci liberamente verso l’immagine che stiamo per cogliere.
Non è quindi uno scandalo ma al contrario una opportunità se decidiamo di approcciarci alla fotografia KEM sfruttando le risorse automatiche del nostro apparecchio.
E’ fondamentale infatti il nostro approccio con l’ambiente in genere e con il mondo che ci circonda: una immagine KEM spesso è naturistica, tende a svelare la bellezza di qualcosa e per fare questo dobbiamo innanzitutto armonizzare al massimo con noi stessi, con l’apparecchio, con quanto stiamo per fotografare. E’ un rapporto di amore appunto, principalmente un rapporto di amore. Poi entrerò comunque in merito alle componenti tecniche.
Una fotografia KEM trasmette innanzitutto una emozione e perchè questo è fondamentale entrare in quella emozione, viverla, respirarla il più profondamente ed essenzialmente possibile. 
Ecco perchè lasciare il principale compito tecnico all’apparecchio può liberare la nostra mente dal pensiero schematico, ora possiamo dedicarci alla raccolta delle percezioni: tutte ma proprio tutte le percezioni, non solo la luce e il colore ma l’ascolto del nostro stato emotivo, i suoni e i rumori vicini e lontani, il calore o il freddo, l’umidità e i profumi.
Forse non possiamo registrare queste percezioni sulla nostra scheda di memoria ma possiamo certamente imprimerle lì nella sfera emotiva e così può essere che in fase di fotoritocco, per riprodurre fedelmente il nostro stato emotivo di quel momento, riportiamo l’immagine con toni, saturazioni o contrasti molto elevati, apparentemente errati in realtà riflettono la nostra percezione al momento dello scatto, ovvero desaturati e grigi se eravamo malinconici a prescindere dal soggetto e dal contesto.
Partiamo dall’approccio, quindi dallo spirito con cui ci dedichiamo alla fotoripresa. Personalmente cerco di sfruttare sempre le giornate particolari in cui il cielo è terso e la luce intensa per cercare soggetti da fotografare. Non sempre è possibile ma se programmo una giornata dedicata alle immagini e il tempo non mi assiste in genere evito e aspetto una condizione migliore. L’approccio non deve essere ossessivo bensì libero e aperto. Magari so dove andrò ma poi, sul posto, mi dedicherò ad altro, scoprirò qualcosa di nuovo o inatteso che cattura la mia attenzione, riceverò ispirazione da qualcosa che non avevo programmato… certo ci sono momenti, luoghi e giornate che da soli ci invitano alla ricerca del bello che si nasconde un pò ovunque e lì è la nostra missione: entrare nel bello delle cose, coglierle, riprodurle, valorizzarle e custodirle.
Personalmente credo molto nella memoria emotiva: ci sono luoghi, profumi e sapori che contengono in sè un nostro patrimonio emotivo, può essere di tipo storico in quanto richiamano qualcosa che già ci appartiene, oppure può essere una sorta di memoria universale, molto più ampia, che appartiene al mondo, alla vita, all’universo da sempre. Ecco che posso provare a entrare nelle pieghe invisibili delle cose intorno a me, vibrare nella stessa unità armonica di un fiore, un prato, un albero, di un monte o del mare, del cielo e delle nuvole, della terra e dell’aria, posso cogliere l’essenza più profonda con il piccolo scatto del mio otturatore, poi lo rivedrò sullo schermo e con alcuni semplici passaggi proverò a renderlo così come il mio spirito, in quel momento, riceve e trasmette la memoria emotiva di quell’immagine
E’ un principio di fotografia Karmica che non vuole essere presuntuoso o superficiale ma che al contrario ho maturato nel corso di decine di anni di ricerche in cui ho fatto servizi di ogni genere e in tutto il mondo. Poi ho sentito il bisogno di un rapporto più profondo con l’immagine per cui ho cominciato a uscire dagli schemi e dalle esigenze commerciali o pubblicitarie per riflettere su numerosi step: inizialmente sentivo il bisogno di applicare regole tecniche ormai quasi automatiche dopo tanti anni di professionismo ma poi ho capito che dovevo andare in un’altra direzione:
Ho scelto di fotografare con il cuore ciò che vedo, sento e percepisco intorno a me, in me. La tecnica è secondaria alla percezione dell’immagine, necessaria ma secondaria. Le cose devono essere, restare come sono. Solo allora le posso cogliere, raccogliere, portare con me e trasportare altrove.”
Se è chiaro il tipo di approccio e di rapporto che dobbiamo avere con noi stessi, innanzitutto, e con il mondo che ci ospita, provo a fare un passo avanti circa il mio pensiero.
Cominciamo dall’attrezzatura: una reflex o mirrorless di recente fattura è sufficiente a darci qualità elevata e numerose possibilità di ripresa. Se abbiamo la possibilità di spendere in apparecchi costosi, obiettivi e accessori va bene, ma è secondario. Qui non si tratta di avere il tele ultimo grido o l’apparecchio con 40 milioni di pixel, quello che conta è entrare nello spirito dell’immagine, non nel costo o nelle prestazioni tecniche.
Sono importanti ma non primarie, come detto, quindi un obiettivo che ci consenta un’apertura di grandangolo e un tele sui 200-300 di focale, un kit per il macro e qualche accessorio a piacere: io uso alcuni piccoli cavalletti portatili di cui uno a treppiede tradizionale, uno a morsetto, piccolo e praticissimo e uno tascabile che si rivela utile in condizioni tipo notturno quando per l’esposizione necessito un punto di appoggio rapido come può essere un muretto, un tavolo o il pavimento stesso. Fondamentale avere un filtro polarizzatore, quindi uno per ogni obiettivo e altrettanto fondamentale un buon kit di pulizia: un paio di panni in microfibra, un liquido per la pulizia delle lenti e se possibile una bomboletta di aria compressa nonchè l’immancabile pennellino 🙂
Se abbiamo tempo e modo di prepararci è fondamentale una buona messa a punto del materiale, ordinato e ben disposto in una borsa che sia comoda e pratica, quindi niente bauletti rigidi bensì una buon case con tante tasche e scompartimenti in cui distribuire bene e con ordine ogni cosa.
Personalmente porto sempre con me i tubi di prolunga per il macro, un anello di inversione ottica e un fish-eye con ottime qualità sempre di macro, un duplicatore di focale, un paraluce per ciascun obiettivo e, anche se può sembrare banale, il manuale della fotocamera per far fronte, se mai fosse, a qualunque dubbio tecnico.
Per le riprese in montagna ho trovato un comodissimo zaino da pesca della Rapala che si presta brillantemente al duplice scopo di portare strumentazione e materiale da montagna, cui ho aggiunto una praticissima custodia che si applica al passante orizzontale dello zaino stesso. In questo modo ho sempre la fotocamera a portata di mano alla cintola senza l’impegno di sentirla ballare al collo. Quindi una accurata pulizia e controllo delle lenti e dei filtri che devono essere assolutamente limpidi e privi di qualunque segno, polvere o imperfezione.
Ora siamo pronti per uscire, anche se possiamo trovare spunti in casa o nelle persone, la fotografia KEM ha alcuni principi da osservare:
Non ci sono composizioni nè alterazioni dell’ambiente se non minimi: non è infatti una concezione fotografica che tende a alterare o falsificare le cose bensì a coglierle in quello che sono. Per questo difficlmente si rivolge alle persone a meno che siano colte in assoluta spontaneità e senza dettare espressioni o pose. E’ il nostro approccio che deve vedere e trovare angolazioni, posizioni e condizioni ottimali per cogliere lo scatto… al massimo possiamo spostare un ramoscello o un filo d’erba che ostacola l’inquadratura ma senza alterare il contesto con artifici di alcun genere. Il primo obiettivo è cogliere ciò che ci viene offerto in dono:
“Colore nei colori, luce nella luce, immagine nelle immagini.
Non devi creare nulla, è già tutto perfetto: tutto.”
Sta alla nostra percezione e alla nostra abilità trovare il punto migliore per lo scatto tenendo conto di tutte le implicazioni tecniche e di luce del caso, ma uno dei principi fondamentali della fotografia KEM è proprio quello di cogliere ciò che accade, ciò che è, non di costruire immagini secondo schemi tradizionali di inquadratura, posizione, incidenza della luce ecc…
Dobbiamo saper cogliere: intorno a noi è tutto perfetto e grandioso.
“Entra nello spirito della pietra, dell’acqua, dei fiori… sei già parte di tutto questo devi solamente essere te stesso, essenza sensibile di te stesso, sei parte di tutto e tutto è parte di te.
Respira il grande dono di questa luce che ti circonda, risveglia le tue foglie, apri verso il cielo i tuoi rami, lasciali ondeggiare al vento, accogli le nuvole, la pioggia, il temporale, l’arcobaleno e la tempesta. E’ tutt’uno con la vita, tutt’uno con te.”
Il bello non è solo in ciò che universalmente è considerato bello, ma è ovunque, basta saperlo vedere, per questo la fotografia KEM si basa sul concetto di cogliere.
Se siamo in un posto bello avremo molti spunti ma l’abilità e lo spirito possono portarci oltre, entrando nell’essenza delle cose per cogliere. Ora possiamo scoprire dettagli, particolari, contrasti, forme, giochi di luce e di colori che possiamo interpretare attraverso la nostra anima, la nostra sensibilità.
Entriamo nello spirito di ciò che fotografiamo: non limitiamoci a fotografare un albero, un fiore, un tramonto: entriamo nell’albero, entriamo nel fiore, entriamo nel tramonto!
“Nascosto nelle pieghe antiche, nel mondo abbandonato, troverai sempre l’attimo di vita che risveglia la tua emozione. Puoi coglierla e trasportarla, sempre ed ovunque.
Proprio lì dove l’uomo dimentica di esistere, troverai tracce di dimensioni nascoste, strati diversi della materia che ancora vive e racconta la sua esperienza individuale.”
Armonizziamo come se tutto fosse avvolto da una musica melodiosa, come se quello che vediamo sia scritto in una poesia, in un dipinto, in una scultura. Il mondo crea forme ed espressioni fantastiche che nessun regista, nessun musicista, nessun pittore, nessuno scultore hanno mai concepito! Il bello non è solamente nel bello istintivo ma cerchiamo, entriamo, ascoltiamo… troveremo immagini fantastiche anche nelle cose vecchie e abbandonate, negli angoli più nascosti, sotto le foglie, tra le pietre… raccontiamo il caldo e il freddo, cogliamo le percezioni della stagione, della vita, ascoltiamo i rumori, i suoni intorno a noi e cerchiamo di portarli in noi affinchè guidino il nostro sguardo e la nostra mano.
La posizione: quasi mai la prima posizione istintiva è quella corretta. Muoviamoci intorno al soggetto o all’ambiente, alziamoci e abbassiamoci, incliniamo la fotocamera, proviamo a cogliere raggi di luce, riflessi, colorazioni suggestive, particolari del terreno o del cielo, proviamo a cogliere il movimento, il vento, le movenze di una farfalla, le geometrie del regno vegetale, le forme del regno minerale, la vita del regno animale.
Non ha importanza se c’è una imperfezione: se nell’immagine appare un dettaglio secondario non consideriamolo un errore, se abbassandoci o alzandoci potevamo dare più o meno profondità non deve condizionare la nostra libertà espressiva. Nel capitolo dedicato alla tecnica vedremo come ottimizzare al massimo le fase di ripresa in modo da avere la miglior libertà espressiva possibile.
Ora scattiamo, numerosi scatti che giungono dal cuore provando numerose angolazioni, entriamo nel dipinto provando diverse inquadrature, mentre ci muoviamo il nostro occhio sentirà emotivamente come guidarci verso la scelta migliore. Appoggiamoci alle cose, ai tronchi degli alberi, alle pietre, all’erba, portiamo in evidenza i magnifici dettagli che in un secondo tempo resteranno memoria emotiva di quell’istante, dipingiamo la nostra musica, coloriamo la nostra scultura.
In fase di ritocco delle immagini scopriremo come alcuni soggetti apparentemente secondari, imperfetti se non addirittura errati secondo i canoni tradizionali della fotografia, possono trasformarsi in una immagine che ci emoziona! Questo è il nostro unico scopo, questa è la nostra missione.

Vedi il capitolo dedicato alla Tecnica